L’attrazione fatale del Jihad

Translated by: Paolo Mantellini

Secondo un recente Rapporto della ABC, “Non meno di tre dozzine di criminali, recentemente convertiti all’islàm nelle carceri Statunitensi, si sono trasferiti in Yemen, costituendo una ‘significativa minaccia’ di attacco agli USA, secondo un Rapporto su al-Qaeda del Comitato Senatoriale per le Relazioni Estere. … Un altro motivo di preoccupazione, rilevato dal personale del Senato, è un gruppo di ‘circa 10 Americani che andarono in Yemen, si convertirono all’islàm, divennero fondamentalisti e sposarono donne Yemenite per poter rimanere nel paese’ … Un Ufficiale Americano li descrisse come ‘tipi dai capelli biondi e dagli occhi azzurri’ che si adattano alla descrizione degli Americani che al-Qaeda ha cercato di arruolare per missioni terroristiche”.

Questi, ovviamente, non sono i primi Americani – “con capelli biondi e occhi azzurri” o con altre caratteristiche – ad essersi convertiti all’islàm e ad unirsi alla jihad: John Walker Lindh finì per andare a combattere i suoi compatrioti Americani in Afghanistan, insieme alle truppe Talebane; Adam Gadahn diventò uno dei maggiori protagonisti della macchina propagandistica di al-Qaeda; Gregory Patterson, Levar Washington, e Kevin James complottarono per organizzare attacchi terroristici contro gli Stati Uniti; Christopher Paul e Jose Padilla cospirarono per poter usare armi di distruzione di massa.

Ci sono poi gli innumerevoli convertiti Europei, come l’attentatore dalle “scarpe esplosive”, Richard Reid, che cercò di ottenere il “martirio” facendo detonare dell’esplosivo contenuto nelle sue scarpe, mentre era a bordo di un aeroplano; il recente Germaine Lindsay, che ottenne il “martirio” uccidendosi insieme a 56 concittadini e ferendone oltre 700, negli attentati dinamitardi di Londra del 2005; e Abu Abdullah, Britannico di nascita, diventato un ardente predicatore islamista che non nasconde il suo odio feroce contro l’Occidente (il tutto, ovviamente, mentre si gode quella libertà, unicamente Occidentale: la libertà di parola).

Che cosa spinge questi uomini, nati e cresciuti in Occidente, spesso provenienti da ambienti Cristiani, ad abbandonare il loro retaggio culturale, abbracciare l’islàm e diventare radicali al punto di cospirare per uccidere i loro compatrioti?

Per quanto riguarda il richiamo intrinseco dell’islàm, si è a lungo sostenuto che, a differenza del Cristianesimo, la cui teologia può rivelarsi “pesante”, l’islàm è relativamente semplice e lineare. Così, mentre il Cristianesimo si può sviluppare su argomenti metafisici – la Trinità, la Cristologia, ed anche la nozione di Grazia – l’Islàm, in termini chiarissimi, bianco o nero, ordina ai suoi seguaci di fare questo e non quello. Infatti, la parola Araba “Sharia,” quel complesso completo di leggi che i musulmani devono osservare, è etimologicamente correlata con la parola che indica la “via” – come nella locuzione “la via per il paradiso.”

C’è poi un altro fattore, più sottile, che può attrarre gli uomini all’islàm: i ruoli tradizionale del maschio sono messi in rilievo dalla religione. Questo potrebbe piacere ai maschi non-musulmani che vogliono affermare la loro “virilità” in quella che loro sentono come società Occidentali asessuate. Harvey Mansfield, nel suo libro, Virilità, definisce questo termine come “una qualità sia buona che cattiva, prevalentemente maschie, spesso intollerante, irrazionale e ambiziosa. La nostra società, sessualmente neutra, non l’apprezza, ma non riesce ad eliminarla.”

Infatti, con un codice etico formatosi nel settimo secolo – quando il profeta Musulmano, “esempio perfetto” di comportamento, ancora camminava sulla terra, imponeva la sua volontà e conquistava i suoi vicini “infedeli” – è molto difficile riuscire a considerare la cultura islamica come “sessualmente neutrale”. Anche il filosofo Friedrich Nietzsche, che disprezzava il Cristianesimo come “effeminato” e sosteneva che l’uomo si dovesse trasformare in un amorale “superuomo”, ammirava l’islàm, descrivendolo come “nobile e virile” (L’Anticristo).

Ovviamente i tradizionali ruoli virili non sono esclusivi dell’islàm; molte civiltà sono vissute secondo queste norme; le così dette società “sessualmente neutrali” sono, in una prospettiva storica, assolutamente anomale. James Bowman, autore di Breve storia dell’onore sottolinea che, quando arriviamo al disinteresse Occidentale per le nozioni di Onore e Virilità, “in termini globali, siamo noi ad essere quelli strani"; afferma inoltre che, fino all’epoca Vittoriana, in Occidente “l’idea di onore era più simile a quella degli Arabi e dei Musulmani che a quella che abbiamo noi oggi”.

E’ in questo contesto, quindi, che giovani adulti frustrati – che, come Nietzsche, disprezzano quello che ritengono una società “sessualmente neutra” – possono trovare allettante una religione che enfatizza la “virilità”.

Sembra che John Walker Lindh rappresenti particolarmente bene questo modello. La causa scatenante della sua conversione all’islàm fu la sua scoperta, appena dopo la pubertà, che suo padre era omosessuale – un evento che sembra aver traumatizzato ed avvilito il giovanissimo Lindh. Gl’ideali virili dell’islàm e l’inequivocabile condanna dell’omosessualità possono avere attratto il giovane Lindh, che si convertì all’islàm all’età di 16 anni, appena dopo che suo padre lasciò sua madre e se ne andò con un altro uomo. Poco dopo partì per il jihad.

Tutto questo è stato ulteriormente esasperato dallo scherno dei musulmani per la virilità occidentale – come Osama bin Laden, che ha deriso l’approvazione occidentale dell’omosessualità e ha definito il soldato Americano “una tigre di carta, troppo codardo e troppo impaurito per affrontare i giovani musulmani faccia a faccia” (The Al Qaeda Reader).

Qualsiasi opinione uno abbia in merito a questi problemi, una cosa è chiara: se è vero che le tradizionali virtù virili sono preservate nella cultura islamica, allora è anche vero che abbondano i tradizionali vizi virili – dato che spesso solo una linea molto sottile separa la super-virtù dal super-vizio. Onore, coraggio e amor di Patria possono trasformarsi – cosa che, nella cultura islamica, succede sempre – in arroganza distruttiva (come, ad esempio, i “delitti d’onore”), nel disprezzo per la vita (come ad esempio, gli attentati suicidi) e in una brutale misoginia.

Tuttavia, per i giovanotti più “avventurosi” che cercano di aggiungere un po’ di “eccitazione” alla loro vita, l’islàm spalanca delle autostrade! In base al Corano e alla biografia di Maometto, assalire, uccidere e derubare gli infedeli (cioè, “l’altro”) , rapire le loro donne e fare schiavi i loro figli, sono tutte azioni lecite, a patto che siano compiute in un contesto jihadista, cioè, al “servizio” dell’islàm. Infatti, questo è proprio il modo in cui Maometto e i primi musulmani diffusero l’islàm – un fatto storico, non una calunnia – come è dimostrato dai testi sacri e dai resoconti dell’islàm scritti e compilati da devoti, ma autorevoli musulmani.

Sicuramente, un tale comportamento era “normale” nel settimo secolo. Allora, ovunque si guardasse, uomini di ogni razza, cultura e religione, assalivano, razziavano, saccheggiavano e facevano schiavi i loro vicini. Per gli islamisti, tuttavia, le azioni del Maometto del settimo secolo, non importa quanto in conflitto con la modernità, devono essere imitate oggi così come lo erano in passato. Inoltre, qualsiasi scrupolo morale un potenziale jihadista possa provare per queste “antiquate” pratiche – cioè, se la sua coscienza dovesse momentaneamente prendere il sopravvento su di lui – verrebbero immediatamente dissipate alla luce dell’esplicita approvazione di Allah. Ad esempio: “Le donne sposate vi sono vietate [o musulmani] – eccetto quelle prese prigioniere in guerra” (Corano 4:24; vedi anche 23:6 e 33:50-52).

Non ci si deve quindi meravigliare se l’islàm attrae alcuni uomini occidentali più del Cristianesimo: alcune delle sue caratteristiche si adattano meglio alle basiche tendenze maschili – per la guerra, il potere e le donne – rispetto, ad esempio, agli insegnamenti inibitori di Gesù: “porgi l’altra guancia”, “prega per chi ti perseguita”, e “chi desidera una donna nel suo cuore ha già commesso adulterio”. Anche la versione islamica del paradiso è molto più allettante. Un fiume di vino e dozzine di “donne voluttuose” attendono il jihadista che muore in battaglia combattendo gli infedeli (Corano 78:33).

E così, come piccoli bimbi birichini, che trovano affascinante la vita dei pirati – assalendo, uccidendo, saccheggiando, sequestrando e nascondendosi in caverne – così alcuni uomini Occidentali trovano attraente la vita del jihadista.. E così si convertono. E non è una ironia di poco conto che l’apparenza fisica degli eroi islamisti di oggi richiami quella degli scaltri pirati del passato – dal furtivo capo Talebano , il “monocolo” Mullah Muhammad Omar, all’ideologo radicale di Londra Abu Hamza, che non soltanto si gloria di avere un occhio solo, ma ha pure un uncino metallico al posto di una mano, che è solito agitare quando parla degli infedeli. (Come il Capitan Uncino di Walt Disney, i suoi seguaci si riferivano affettuosamente a lui, chiamandolo semplicemente"l’Uncino”).

Non è necessario aggiungere, ovviamente, che nulla di tutto ciò significa che i musulmani siano come dei pirati per natura. Ciò significa, però, che persone che siano per natura inclini a tali comportamenti – inclusi alcuni aspiranti alla conversione – possono trovare, e trovano, giustificazioni a discolpa nelle prescrizioni della “sunna” e della teoria legale del jihad: se era giusto per Maometto e i primi musulmani far guerra, saccheggiare e fare schiavi gli infedeli – così si procede secondo logica – certamente è giusto anche oggi.

Questo fenomeno è ulteriormente confermato dalla evidente correlazione tra la reclusione e conversione all’islàm radicale. In effetti, la maggior parte di questi neofiti aveva precedenti penali prima della conversione all’islàm, rivelando una tendenza alla violenza e all’illegalità: Reid e Abdullah avevano precedenti per aggressione a scopo di rapina; Padilla per varie attività illegali; e Lindsay per traffico di droga. Patterson, Washington, e James iniziarono la loro cellula terroristica mentre erano reclusi in una cella vera e propria per aver compiuto più di una dozzina di rapine a mano armata. E, più recentemente, le tre dozzine di neo-convertiti e terroristi potenziali che fuggirono in Yemen, come li ha definiti il servizio della ABC, erano tutti “criminali”.

Tradizionalmente, il motivo per cui gli ex galeotti si rivolgono alla religione, è per cambiare le loro vecchie cattive abitudini. Non è così per questi uomini occidentali trasformati in terroristi islamici. Consciamente o inconsciamente, sembrerebbe che che abbiano abbracciato l’islàm – e il conseguente jihadismo – solamente per ricevere l’approvazione divina al loro comportamento, altrimenti solo violento e predatorio, trasformandosi in questo processo da piccoli delinquenti in importanti criminali – terroristi e traditori.

Raymond Ibrahim è Direttore Associato di “the Middle East Forum”, autore di The Al Qaeda Reader, e “visiting lecturer” presso “the National Defense Intelligence College”.

Raymond Ibrahim, a specialist in Islamic history and doctrine, is the author of Defenders of the West: The Christian Heroes Who Stood Against Islam (2022); Sword and Scimitar: Fourteen Centuries of War between Islam and the West (2018); Crucified Again: Exposing Islam’s New War on Christians (2013); and The Al Qaeda Reader (2007). He has appeared on C-SPAN, Al-Jazeera, CNN, NPR, and PBS and has been published by the New York Times Syndicate, the Los Angeles Times, the Washington Post, the Financial Times, the Weekly Standard, the Chronicle of Higher Education, and Jane’s Islamic Affairs Analyst. Formerly an Arabic linguist at the Library of Congress, Ibrahim guest lectures at universities, briefs governmental agencies, and testifies before Congress. He has been a visiting fellow/scholar at a variety of Institutes—from the Hoover Institution to the National Intelligence University—and is the Judith Friedman Rosen Fellow at the Middle East Forum and the Distinguished Senior Shillman Fellow at the Gatestone Institute.
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