Middle East Quarterly

Spring 2008

Volume 15: Number 2

L’asimmetria psicologica della guerra islamica

Translated by: Yehudit Weisz

I legislatori statunitensi riconoscono che “i civili non possono essere utilizzati ... per rendere una zona immune da operazioni militari ... per proteggere una posizione difensiva, per nascondere obiettivi militari, per proteggersi da un attacco. Nè possono essere costretti a lasciare le loro case o rifugi per ostacolare la manovra di un avversario”. (1) Tali divieti non riguardano solo gli Stati Uniti, ma sono estesi anche all’ Europa, a Israele, e dopo la Seconda guerra mondiale, a molti paesi asiatici. Sempre più spesso, però, i nemici arabi d’Israele e gruppi islamici utilizzano tali vincoli al fine di ottenere un vantaggio psicologico sui nemici tecnologicamente superiori. I governi occidentali sono sfidati oggi da un nemico il cui comportamento si ispira a dottrine teocratiche che non tengono conto del concetto occidentale di guerra etica, per le quali l’uccisione di civili in un conflitto - da entrambe le parti – è severamente proibito.

Politici e militari spesso discutono sulla guerra asimmetrica con riferimento alle strategie che Stati deboli o gruppi terroristi adottano per affrontare potenze militari più forti. Israele, ad esempio, ha un capitale umano e una tecnologia superiori rispetto ai suoi avversari terroristi, come Hamas e Hezbollah. Ma l’ideologia dell’islamismo ha creato una forma paradossale di vantaggio asimmetrico per gruppi e stati terroristi: respingendo l’intero concetto occidentale delle regole di guerra, i gruppi islamici trasformano l’adesione delle potenze militari occidentali alle restrizioni in materia di condotta in campo di battaglia non soltanto in uno svantaggio, ma in qualcosa che si può far valere in un conflitto, sia che affrontino le forze di pace statunitensi a Mogadiscio, o le unità della NATO nel sud dell’Afghanistan, o i soldati israeliani a Gaza. Con l’aumentare del pericolo, non solo i gruppi terroristi, ma anche gli Stati non democratici adottano in guerra le regole islamiche. Paesi come l’Iran le hanno applicate sul campo di battaglia. Durante la guerra Iran-Iraq, per esempio, Teheran ha mandato a morire decine di migliaia di cittadini; nel corso della guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah, le milizie fornite dall’Iran hanno lanciato razzi contro Israele e combattuto da postazioni all’interno di abitazioni civili, come parte di una strategia che cercava sia di uccidere civili israeliani, sia di assicurarsi che qualsiasi autodifesa israeliana avrebbe così ucciso civili libanesi.

Un diverso tipo di guerra asimmetrica

La maggior parte degli osservatori riconoscono che Israele gode di una superiorità militare rispetto ai suoi vicini arabi, (2) una reputazione mantenuta in parte con l’impegno degli Stati Uniti a fornire Israele un vantaggio qualitativo dal punto di vista militare, rispetto agli Stati arabi. (3) Molti commentatori e analisti arabi, usano questa asimmetria per la loro propaganda. L’attivista pro-palestinese Edward Said, contrapponeva la “potenza di Israele” all’ “impotenza palestinese”. (4) Nabil Ramlawi, l’osservatore permanente per la Palestina presso le Nazioni Unite a Ginevra, nel 2002 aveva scritto di un presunto massacro in cui Israele aveva usato “carri armati e veicoli blindati , sotto un fuoco di sbarramento pesante da parte di elicotteri Apache”, e che in seguito aveva commesso un” lungo elenco di massacri “e “crimini di guerra, un terrorismo sponsorizzato dallo Stato e sistematiche violazioni dei diritti umani contro il popolo palestinese”. (5) Ma il vantaggio tecnologico di Israele non significa che esso porti sempre dei vantaggi nelle guerre contro i gruppi terroristi: mentre Israele obbedisce alle tradizionali limitazioni del comportamento in battaglia, i suoi avversari islamici e jihadisti, che rifiutano il diritto internazionale umanitario, godono di un vantaggio asimmetrico nato dall’ impunità psicologica.

L’esercito israeliano si trova di fronte a un grave dilemma per il fatto di aderire a uno specifico codice morale. Nonostante la propaganda araba sostenga il contrario, la strategia militare israeliana ha rispetto per la vita umana. (6) Asa Kasher, professore di filosofia dell’Università di Tel Aviv e Amos Yadlin, capo dell’intelligence delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), scrivono che, anche quando hanno a che fare con i terroristi, i soldati israeliani conducono operazioni “in modo tale da salvaguardare rigorosamente la vita e la dignità umana, riducendo al minimo tutti i danni collaterali alle persone non direttamente coinvolte in atti o attività di terrorismo”. (7) Quando Israele cercò di stanare i terroristi da Jenin nell’aprile del 2002, i comandanti israeliani avevano deciso di perseguire una strategia di terra “casa per casa” piuttosto che utilizzare la potenza aerea, che avrebbe sì protetto i soldati israeliani dai pericoli, ma che avrebbe potuto aumentare il rischio di vittime civili collaterali. (8) Questa decisione, in un solo attacco, costò la vita a tredici soldati dell’IDF, uccisi in un agguato nel quartiere Hawashin il 9 aprile. (9)

La magistratura israeliana si occupa anche di controllare l’esercito. I Tribunali israeliani impongono regolarmente restrizioni alla tattica militare, nonostante il “prezzo pagato dalle limitazioni poste sulle azioni dell’esercito”. (10) Gli appellanti arabi hanno voce in capitolo. Alan Dershowitz, professore di diritto a Harvard, ha scritto che le Corti d’Israele rappresentano un “sistema giudiziario indipendente, potendo contrastare persino il proprio governo”. (11) Nel 2004, l’Alta Corte di Giustizia israeliana si era espressa a favore dell’appellante Fatma al-Aju contro l’esercito israeliano, in un caso che chiedeva all’IDF, al momento di pianificare le operazioni militari, di prendere in considerazione gli obblighi nei confronti dei civili, come ad esempio consentire a équipes sanitarie di accedere alle zone di combattimento, e altre necessità umanitarie. (12) La Corte si è anche schierata con i palestinesi per quanto riguarda il percorso della barriera di sicurezza di Israele. (13) Gli Stati arabi non hanno tale indipendenza giudiziaria né le loro leadership sono soggette alle regole della legge.

Anche una valutazione comparativa sul trattamento dei prigionieri evidenzia la differenza: il governo israeliano permette di accedere e avere informazioni sui terroristi catturati, esponendosi alla critica sul loro trattamento, (14) mentre né Hamas né Hezbollah informano se gli israeliani catturati sono ancora vivi, nè consentono agli osservatori internazionali alcun tipo di controllo.

Il risultato è un’asimmetria in cui Israele, vincolata al diritto internazionale, limita gli attacchi indiscriminati contro obiettivi civili, mentre gruppi come Fatah, Hamas e Hezbollah volutamente prendono di mira i civili israeliani e impiegano la popolazione civile come scudi umani per impedire la risposta israeliana. A questo proposito Avi Dichter, Ministro della Pubblica Sicurezza di Israele in occasione della guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah, aveva detto: “Voi potete condurre operazioni militari in breve tempo. Si può invadere il Libano meridionale con truppe di terra, e si possono bombardare i villaggi senza avvisare nessuno, e sarà più veloce. Ma uccidereste molte più persone innocenti, e subireste molte più perdite: noi non abbiamo intenzione di fare nulla di tutto ciò”. (15) Il Generale Giora Eiland, Consigliere per la Sicurezza nazionale di Israele dal 2005 al 2006, aveva così spiegato il processo decisionale israeliano: “Siamo costretti a uccidere qualcuno solo quando quattro condizioni sono soddisfatte: Primo, non c’è altro modo di fermare il nemico. Secondo, quando il bersaglio è importante. Terzo, quando riteniamo di essere certi che ci possano essere pochissime vittime civili. Quarto, quando crediamo che non ci sia un altro modo per ritardare o annullare un attacco, che giudichiamo imminente come una bomba a orologeria”. (16)

Israele è ulteriormente danneggiato dall’osservanza del diritto internazionale nel giustificare la legittimità della lotta contro i suoi avversari. Il diritto internazionale è abitualmente frainteso dai commentatori dei media e dai non-specialisti che lo citano. Alcuni giornalisti, per esempio, descrivono il trattamento israeliano dei terroristi palestinesi come una violazione del diritto internazionale. Questo non è vero. Hamas, la Jihad islamica palestinese, e le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, tra l’altro, si gurdano bene dall’osservare i criteri necessari per la piena tutela dei diritti ai sensi delle convenzioni di Ginevra. (17) Più in generale, le organizzazioni dei diritti umani citano il diritto internazionale, ma trascurano di considerare che " persone protette” (cioè, i cittadini sotto occupazione) non possono partecipare ad attività violente contro la forza occupante. (18) Al contrario, nonostante quanto stabilito, non c’è un “diritto di resistenza” ai sensi del diritto internazionale, sia per i civili sotto occupazione sia per le forze irregolari, che pretendono di combattere un occupante. (19)

La guerra convenzionale fra eserciti potrebbe favorire Israele, ma il fatto che gli islamici non facciano distinzione tra civili e combattenti legittimi, crea un’asimmetria a favore di coloro che utilizzano tutti gli strumenti per raggiungere il loro obiettivo.

L’ideologia suicida

Gli islamici predicano un’indiscussa obbedienza a Dio, a cui gli uomini devono sacrificare la loro vita. L’editorialista saudita Mozammel Haque, in un intervento alla Moschea centrale di Londra, ha spiegato: “Il sacrificio della vita e della ricchezza secondo la dottrina di Allah è il culmine della fede di un uomo”. (20)

Nonostante l’affermazione teologica che l’uomo è libero, (21) gli islamici hanno un approccio fatalistico alla vita. (22) Se una persona muore, è perché è arrivato il giorno prestabilito; le modalità con cui la vita finisce non hanno rilievo. (23) Tali credenze fanno sì che tra i combattenti, ci sia una disponibilità ad avere poca o nessuna paura della morte. Citano il versetto del Corano: “La loro ricompensa sarà essere accanto al Signore, non avranno nulla da temere né saranno afflitti”. (24) Gli islamici predicano la “istishhad”, (25) il martirio volontario, che si conclude con la morte . (26) Inoltre, i martiri potranno dopo la morte possedere 72 vergini e incontrare 50 parenti in paradiso. (27) Le ricompense promesse rendono la morte materialmente migliore della vita e incoraggiano gli jihadisti al martirio.

In pratica, questo significa che il pensiero islamico non si pone alcun problema nei confronti di quel che le nazioni occidentali vedono come immorale e inaccettabile, cioè l’uccisione di civili. Se si verifica un danno collaterale, ad esempio su scuole o ambulanze, quando i soldati di Hamas sparano, non vi è alcuna colpa: si vede che le vittime civili del fuoco incrociato erano destinate a morire. L’esule saudita Muhammad al-Massari spiega che ogni civile ucciso in un attacco contro il nemico “non soffrirà (ma) ... diventerà lui stesso un martire”. (28) Nel corso della guerra del 2006, tra Israele e Hezbollah, il Segretario Generale di Hezbollah Hassan Nasrallah “si scusò” per un attacco a Nazareth, in cui rimasero uccisi due bambini arabi israeliani, ma disse anche che i due bambini verranno considerati “martiri”. (29)

Molti musulmani, per esempio Zuhair Afaneh, Presidente della Società islamica della Pennsylvania Centrale (30) criticano la giustificazione religiosa per crimini di guerra citando un versetto del Corano: “Chiunque uccide un essere umano per fini diversi dall’ omicidio colposo o si renda responsabile di corruzione, sarà come se avesse ucciso tutta l’umanità, e chiunque salva la vita di un solo uomo, sarà come se avesse salvato la vita di tutta l’umanità ". (31) Altri islamici però, citano versi alternativi in contrapposizione. (32) Forse non tutti questi estremisti hanno adeguate giustificazioni religiose (33). Ne deriva che i gruppi islamici si sentono autorizzati a commettere atti orrendi contro la popolazione civile, tra cui uccisioni di massa, (34)decapitazioni, (35)e l’uso dei bambini in attacchi terroristici. (36)

Lo sceicco Faysal Mawlawi, Vice Presidente del Consiglio europeo per la Fatwa e la Ricerca, ha spiegato: “Se il nemico dei musulmani attacca civili musulmani, allora è lecito per noi musulmani applicare la regola della reciprocità e attaccare i civili nemici”. (37) Lo studioso musulmano egiziano Yusuf al-Qaradawi, che è a capo del Consiglio europeo per la Fatwa e la Ricerca, ha aggiunto che “le operazioni che includono martiri ... non sono in alcun modo escluse nell’ambito del terrorismo, anche se le vittime includono alcuni civili”. (38) Nel luglio del 2003, il quotidiano pan-arabo Asharq al-Awsat con sede a Londra, aveva riferito che Qaradawi aveva emesso una sentenza religiosa atta a incoraggiare gli attacchi suicidi contro gli israeliani, indipendentemente dal fatto che fossero civili o militari.(39)

La validità delle missioni suicide ha condotto diversi gruppi islamici a vantarsi di “amare la morte”, allo stesso modo in cui gli ebrei e i cristiani amano la vita. (40) Tali iniziazioni alla guerra si estendono anche ai bambini tramite il lavaggio del cervello (41), nonostante le convenzioni internazionali siano contrarie al fatto che i bambini partecipino a combattimenti. (42) La televisione ufficiale dell’Autorità palestinese incoraggia regolarmente i bambini alla violenza. (43) Un video istruisce i bambini su “com’è dolce il profumo degli shahid (martiri), com’è dolce la fragranza della terra. La sua sete è placata dal sangue che esce da un giovane corpo”. (44) Più recentemente, la televisione di Hamas ha trasmesso un sosia di Topolino che invita i bambini a combattere e, se necessario, a morire allo scopo di estendere la Palestina fino a includere tutto Israele. (45)

La manipolazione psicologica

Se la teologia islamica fornisce l’ispirazione morale per la strategia del terrorismo, la guerra psicologica consente di assicurarne i benefici nella pratica. La guerra psicologica è “l’uso pianificato della propaganda e di altre azioni psicologiche che hanno lo scopo principale di influenzare opinioni, emozioni, atteggiamenti e presentare i comportamenti ostili dei gruppi stranieri, in modo da raggiungere i propri obiettivi ". (46) Anche se le operazioni psicologiche sono indirizzate a soldati e civili nemici - gli islamici fanno vedere i loro civili come parte dell’equazione militare- diventando di fatto un meccanismo per ottenere un vantaggio tattico. Una chiamata alla jihad è la coscrizione obbligatoria per tutti i cittadini a partecipare alle operazioni militari; per scelta, da parte di un combattente, involontariamente da parte della vittima. Una pubblicazione jihadista rivolta alle donne lo dice chiaramente: " Il sangue dei nostri mariti e il corpo dei nostri figli sono la vostra offerta sacrificale” (47) Da un punto di vista psicologico, l’espansione dei gruppi islamici alla lotta, includendo madri, bambini, e altri civili, contribuisce a creare un senso di forza e di solidarietà, e il risultato va ben oltre quello che un gruppo limitato di combattenti sarebbe in grado di produrre.

Gli Hezbollah, per esempio, sono stati in grado di galvanizzare una protesta internazionale per i civili morti il 30 Luglio del 2006 in seguito all’attacco israeliano su Kfar Qana, fino ad ottenere una battuta d’arresto nelle operazioni. Queste tattiche non sono limitate a forze irregolari e paramilitari. Dove le ideologie islamiche regolano le operazioni militari, la protezione dei civili diventa irrilevante. Giora Eiland descrive l’Iran come disposto a sacrificare fino a metà della propria popolazione, al fine di compiere ciò che la leadership di Teheran vede come un imperativo religioso: distruggere Israele. (48) Esistono esempi sul sacrificio forzato: l’ayatollah Ruhollah Khomeini, leader della rivoluzione islamica e Guida Suprema dell’Iran durante la guerra Iran-Iraq, aveva definito la morte di migliaia di bambini in operazioni di sminamento una “benedizione divina”. (49) Lo scienziato politico tedesco Matthias Kuntzel descrive come le autorità iraniane avevano dato ai giovani, alcuni erano poco più che decenni, chiavi di plastica per il paradiso, da appendersi al collo. (50) Fino ad oggi la Repubblica islamica iraniana mantiene nelle forze armate unità suicide che “cercano il martirio”. (51)

La volontà degli islamici di subire danni collaterali, e persino di perseguire tattiche appositamente progettate allo scopo di causare la morte dei loro stessi civili, ne potenzia la capacità di sfruttare le stesse vittime civili, al fine di conquistare la simpatia dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Ampie relazioni da parte dell’israeliana ONG Monitor, documentano come i contrattacchi israeliani, che causano danni ai palestinesi, suscitino le critiche a Israele da parte di organizzazioni dei diritti umani, la cui condanna o ignora o minimizza il diritto di Israele all’autodifesa. (52) Anche se i codici morali limitano il raggio d’azione di Israele, tale restrizione non impedisce che si accusi in modo assurdo Israele di “crimini di guerra”. Durante l’operazione “Scudo Difensivo” a Jenin, accuse inesistenti di un “massacro” (53) furono strombazzate da parte dell’Autorità palestinese, delle Nazioni Unite, delle varie ONG, dell’Unione europea, dei media e in particolare in quelli britannici. (54) Fu poi dimostrata l’infondatezza di tali affermazioni, (55) ma in quel momento offrirono uno strumento essenziale per l’operazione psicologica: minare la legittimità morale dell’autodifesa israeliana.

Infine, la combinazione degli eserciti regolari e un’alleanza, o ritenuta tale, con l ‘ideologia islamica, fanno sì che paesi come la Siria e l’Iran siano una sfida grandissima per Israele. Come le organizzazioni terroristiche, anch’essi prestano poca attenzione alle restrizioni autoimposte degli eserciti occidentali, ma a differenza della maggior parte dei gruppi terroristi, possiedono la competenza, le armi, e le finanze per rappresentare una minaccia militare molto maggiore.

Conclusioni

Come bilanciare le esigenze militari, il diritto umanitario internazionale, e la realtà di dover affrontare un nemico le cui tattiche non sono limitate da convenzioni accettate, sono le sfide alle quali Israele e le altre nazioni occidentali devono dedicare una seria riflessione. L’asimmetria della battaglia che Israele ha di fronte, richiede un ripensamento della strategia per affrontare le minacce di forze le cui ideologie consentono non solo di vanificare il vantaggio militare, ma anche di utilizzare a proprio favore l’apertura delle società occidentali, in particolare i mezzi di informazione e la produzione di immagini, attraverso cui si esprime la tendenza occidentale all’autocritica. L’ideologia, compresa la percezione del giusto contro l’ingiusto, inquina la discussione. In ultima analisi, i paesi democratici, come Israele, devono vincere una guerra ideologica, non solo quella militare.

A breve termine, Israele potrebbe prendere l’iniziativa rivendicando, ripetutamente e con forza, la superiorità morale, ricordando che le vittime civili non sono mai intenzionali, ma sono purtroppo inevitabili, vista la cinica tattica dei nemici che deve combattere. I portavoce israeliani devono inoltre affermare che la colpa per le vittime civili è dei terroristi, che hanno deliberatamente scelto di muovere guerra contro Israele posizionandosi all’interno degli agglomerati civili, una scelta che procura enormi vantaggi propagandistici. Anche se questa realtà non è in grado di soddisfare coloro che dipingono Israele come un trasgressore dei diritti umani, l’evidenza mostra che, dato l’arsenale militare di Israele, qualsiasi politica premeditata atta a colpire i civili, avrebbe certamente portato ad un bilancio delle vittime massicciamente superiore rispetto a quello effettivo. Dal punto di vista dei diritti umani, le tabelle devono essere capovolte, perchè Stati come Israele sono vittime di una politica vergognosamente cinica di sfruttamento dei civili. Sono i militanti islamici ad essere volonterosi trasgressori delle convenzioni internazionali che, invece, cercano di proteggere le vite dei civili.

A lungo termine, però, sconfiggere un movimento fondato sull’ideologia non è possibile senza sconfiggere l’ideologia stessa. Per gli islamici, ogni passo verso la moderazione sarà una tattica politica o una concessione forzata, piuttosto che una vera riforma politica o ideologica, o un accordo. Cosa dovrebbero fare le società occidentali per combattere i gruppi islamici? Per sconfiggere l’ideologia politica che sta dietro l’islam, i civili musulmani devono sviluppare una valida e pratica alternativa alle organizzazioni islamiche che pretendono di rappresentare la più vasta comunità musulmana. (56) Mentre l’ideologia è immutabile, se la popolazione civile ritirasse il suo sostegno, i movimenti islamici diverrebbero impotenti.

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50. Ibid.
51.Ali Alfoneh, “Iran’s Suicide Brigades,” Middle East Quarterly, Winter 2007, pp. 37-44.
52. “Human Rights Watch in 2005: Political Bias against Israel Continues despite Wider Middle East Focus,” NGO Monitor, Jerusalem, Apr. 6, 2006.
53.BBC World News, Apr. 18, 2002.
54. The Washington Times, May 1, 2002.
55. Richard Starr, “The Big Jenin Lie,” The Daily Standard, May 8, 2002.
56. See, for example, M. Zuhdi Jasser. “Exposing the ‘Flying Imams,’” Middle East Quarterly, Winter 2008, pp. 3-11.

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