Ho incontrato per la prima volta Nizar Hamdoon a metà del 1985, quando era un ambasciatore dell’Iraq estremamente famoso a Washington. Egli sosteneva la tesi che l’Iran aveva cominciato la guerra con l’Iraq e aveva la responsabilità del suo prosieguo, e pertanto il governo americano avrebbe dovuto aiutare Baghdad. Nizar faceva queste considerazioni con una competenza, una fondatezza e un’autocritica che sono rare nei diplomatici, nonché sono doti straordinarie per un rappresentante di un brutale assassino totalitario.
In effetti, Nizar era probabilmente il diplomatico più abile che io abbia mai incontrato. Mai in mia presenza ha fatto un solo elogio di Saddam Hussein, denigrato gli Usa o fatto ostruzionismo alla propaganda del suo regime come gli altri inviati iracheni. (A che pro farlo con un pubblico americano?) Piuttosto, accettava la maggior parte delle ragioni addotte dal suo interlocutore e dissentiva solo marginalmente. Pertanto, ha implicitamente accettato le virtù della democrazia, l’esistenza di Israele e gli orrori delle armi nucleari. Nizar ha in seguito sostenuto che raggiungere questi obiettivi significava lavorare con Baghdad, e non contro di essa, sia aiutandola a vincere l’Iran (negli anni Ottanta) sia eliminando le sanzioni (negli anni Novanta).
Il metodo di Nizar gli valse un grande successo. Durante i suoi anni di gloria come ambasciatore iracheno a Washington, tra il 1984 e il 1987, egli ebbe un’influenza, una presenza pubblica e un impatto che i suoi colleghi ambasciatori non potevano che invidiargli.
Con me, come con molti altri ostili al regime che lui rappresentava, Nizar instaurò un rapporto diverso. Mi telefonava assiduamente e veniva a trovarmi a casa, dapprima a Newport, a Rhode Island, e poi a Philadelphia. Quando mia moglie ed io ci recammo in Kuwait nel 1987, egli ci organizzò un viaggio a Baghdad. Mi ha invitato a colazione nella sua residenza di Washington e ha ospitato nella sua missione un bus pieno di membri del consiglio di amministrazione della mia organizzazione.
Nel 1998, persi di vista Nizar dopo che si era concluso il suo secondo soggiorno negli Usa (come ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite). Di tanto in tanto mi sono inutilmente chiesto come se la passasse dal momento che la guerra è scoppiata nel marzo-aprile di quest’anno; non sapevo nemmeno se facesse ancora parte del regime. Così, l’e-mail che ho ricevuto il 15 maggio scorso, due settimane dopo la cessazione delle ostilità maggiori in Iraq, dall’indirizzo e-mail nizarhamdoon@yahoo.com ha di certo attirato la mia attenzione, come pure il suo testo enigmatico:
Caro Daniel,
mi trovo qui a New York per un po’ di tempo per un trattamento di chemioterapia. Se vuoi chiamarmi, il mio numero di cellulare è 917-325-9252. Resterò qui fino alla prima settimana di giugno.
Grazie, Nizar
Conversammo per circa un’ora e mezza. Venni a sapere che nel marzo 2003 aveva avuto un’emergenza medica, così si era recato senza la sua famiglia ad Amman, dove dieci giorni dopo ricevette un visto medico per gli Usa. Arrivato a New York, si era sottoposto a un trattamento di chemioterapia, poi aveva previsto di tornare dalla sua famiglia in Iraq ai primi di giugno. Mi raccontò che al suo arrivo a New York si era stabilito nella residenza dell’ambasciatore iracheno (che era stata la sua stessa abitazione dal 1992 al 1998) sulla 80esima strada, invitato lì dall’ambasciatore iracheno di allora alle Nazioni Unite, Muhammad ad-Duri. Quando la guerra scoppiò e ad-Duri lasciò il Paese, Nizar rimase, occupando solo una delle stanze.
Come ha potuto recarsi negli Usa quando il suo regime era in guerra con gli Stati Uniti? Nizar ha risposto che non era libero di parlare ma che lo avrebbe fatto a tempo debito. E lo stesso vale per le sue esperienze; non ho avuto l’opportunità di porre tutte le domande che brulicavano nella mia testa. Ma lui ha risposto a molti dei miei interrogativi in un modo che amplifica le considerazioni dei lettori nella trascrizione che segue.
Come poteva, gli chiesi, lei che è una persona civile, rappresentare il regime barbarico di Saddam Hussein? Nizar ha fatto riferimento a due fattori: la paura e la lealtà. La paura la capisco, ma la fedeltà? Sì, ha replicato lui, l’etica della fedeltà è radicata nella società irachena, e prevale anche in casi come questo. Ha cercato di spiegarmelo, ma a un certo punto si è reso conto che non riuscivo a capirlo e abbiamo lasciato perdere.
Ha cercato di passare al nemico? No, Nizar ama gli Usa, ma si sente profondamente legato all’Iraq – la società, il cibo, l’atmosfera – e non vorrebbe vivere in America.
Lei ha corso dei rischi nell’abile presentazione del caso iracheno – ammettendo certi punti al fine di avere credibilità. Ma ciò è stato approvato da Baghdad? No, e ha avuto diverse volte dei problemi. Gli è stato costantemente detto di fare lo spaccone come gli altri ambasciatori.
Poi Nizar mi ha parlato di una lettera personale di 20 pagine da lui inviata a Saddam Hussein nel 1995, in cui lui spiegava al suo capo ciò che serbava in cuore. Perché mai mandargli una simile lettera? Nizar non ha dato alcuna spiegazione. Con sua grande sorpresa, Saddam aveva fatto circolare la missiva tra i membri della leadership e finì per inviargli una lettera di 75 pagine, firmandola di suo pugno. Perché Saddam avrebbe trascorso una giornata a scriverle una lettera, gli ho chiesto incredulo. Nizar ha fatto spallucce dicendo: “È ciò che ha deciso di fare”. Nella sua replica, tra le altre cose, Saddam accusò Nizar di aver inviato una copia della sua lettera alla Cia. Ciò avrebbe potuto segnare la fine della sua carriera, e perché non è stato così? gli ho chiesto. Ancora una volta, Nizar non ha replicato in modo convincente; ha detto che Saddam aveva percepito la sua lealtà e sincerità, e che pertanto non lo aveva punito.
Nizar mi ha assicurato di essere in possesso di quelle missive; esse e altri documenti costituiscono un archivio che avrebbe reso pubblico al momento giusto.
La sua carriera finì di fatto nel 2001, quando un nuovo ministro degli Esteri iracheno lo scalzò dal dicastero. Venne promosso a una carica più prestigiosa nell’ufficio del presidente, dove lavorò per l’ex ministro degli Esteri Tariq Aziz. Ma fu un incarico puramente onorifico; il portafoglio di Aziz trattava solo con i partiti Baath all’estero e con altri amici. Nizar invece sovrintendeva l’ufficio dell’America del Nord, il che significava che si occupava di questioni minori come il gruppo antisanzioni, Voices in the Wilderness. Passava due ore al giorno in ufficio, navigando su Internet, e poi rincasava. Ma percepiva il vecchio salario e godeva degli stessi vantaggi.
Il fatto che Saddam Hussein sia ancora libero ha implicato che Nizar fosse timoroso e che continuasse a nutrire un sentimento di lealtà verso il suo vecchio patrono. La combinazione di queste due cose lo rendevano cauto riguardo a ciò che diceva in pubblico. Ma accarezzava l’idea di tenere una conferenza al Middle East Forum, cosa che ha fatto il 4 giugno 2003. Credo che quella sia stata la sua ultima apparizione pubblica. Qui un testo editato del suo discorso e della discussione che ne è seguita.
Nizar Hamdoon è morto il 4 luglio.